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martedì 28 agosto 2018

Democrazia e dimensioni



Democrazia è una parola importante nel linguaggio pubblico globale contemporaneo. Vivere in democrazia non può essere considerato sufficiente, ovvio, posto che la democrazia può essere anche solo meramente elettorale e formale, ma è comunque considerato il minimo indispensabile per una esistenza umana dignitosa nel XXI secolo.

A questo proposito, una delle cose più importanti che chi scrive ha messo a fuoco nel dottorato, nella ricerca intitolata "Disintegration as Hope" (disintegrazione come speranza, discussa con successo nel 2013, si veda qui un estratto) entro pochi anni sarà considerata come la riscoperta dell'acqua calda: le dimensioni contano, anche in democrazia, ma nel senso opposto a ciò che si pensa per tutto il resto. E' drammaticamente meglio vivere in democrazie più piccole.

Il problema delle dimensioni ottimali di una comunità politica è noto sin dai tempi di Aristotele, ricordiamolo, ma in questi ultimi secoli, all'interno dei grandi stati coloniali europei e, più recentemente, per non mettere in discussione il feroce centralismo politico interno ad alcune grandi potenze, questo problema è stato violentemente tenuto nascosto - sarebbe meglio scrivere prigioniero - nelle cantine dei potenti.

Ovviamente, se si va a cercare, in ogni biblioteca pubblica si trovano studi antichi e moderni sul decentralismo, sul confederalismo dal basso, sulla disintegrazione politica dei grandi stati. Chi scrive si è in particolar modo dedicato agli studi di  Karl Deutsch e Tom Nairn, apportando anche il proprio piccolo contributo, ma ce ne sono molti altri, scritti da persone di diversa formazione e orientamento!

In realtà, almeno dagli anni sessanta, il rumore proveniente dal sottoscala ha continuato a crescere. Le elite che sono al comando della globalizzazione fanno ancora finta di non sentire, ma il loro tempo sta per scadere. La decolonizzazione iniziata dopo le guerre mondiali non si è certo fermata. Cinquant'anni dopo il 1968, hanno appena iniziato a dispiegarsi le conseguenze geopolitiche delle sue rivolte sociali e culturali. Quasi trent'anni dopo il 1989, il mondo è sempre più profondamente scosso da movimenti nonviolenti per l'instaurazione di nuove comunità politiche indipendenti.

Nessuna democrazia sarà più considerata come effettiva, in un futuro ormai imminente, se essa non sarà sufficientemente piccola da permettere a un considerevole numero dei suoi membri - potenzialmente tutti - di fare la differenza all'interno della comunità politica a cui appartengono. Nessun essere umano, nel terzo millennio, dopo esser stato sufficientemente nutrito, istruito, dotato di un minimo di accesso a internet, incluso anche solo sommariamente nella comprensione dei complessi problemi ambientali e sociali del nostro tempo, accetterà mai più di vivere in società così gigantesche da essere dominate da vertici alti e lontani, irrangiungibili e incontrollabili.

Siamo animali sociali, che possono certo accettare di far parte di una gerarchia politica, ma non accetteremo mai più - non più tanto facilmente - di essere insignificanti mattoncini di piramidi colossali.

La parte migliore di questa "acqua calda" è che questo decentralismo sarà prevalentemente nonviolento, ripristinerà buon vicinato fra comunità che oggi si odiano, rispetterà la necessaria interdipendenza fra nuovi paesi indipendenti e rafforzerà la pace mondiale. Le ragioni di questo ottimismo si trovano anch'esse negli studi appena citati, di cui speriamo si possano presto leggere parti più ampie, anche su questo blog e altrove.

Intanto si faccia un piccolo esercizio di confronto fra queste due tabelle che seguono; i dati sono prelevati da Wikipedia oggi (martedì 28 agosto 2018); la prima è l'elenco dei dieci paesi più popolosi del mondo; la seconda è l'elenco dei dieci paesi che sono considerati più stabili e più abitabili secondo l'Indice dello Sviluppo Umano.


N.ro Stati più popolosi del mondo Popolazione Divisioni amm.
1 Cina 1,393,750,000 33
2 India 1,336,220,000 36
3 USA 327,731,000 56
4 Indonesia 265,015,300 16
5 Brasile 209,507,000 27
6 Pakistan 201,806,000 7
7 Nigeria 197,319,117 37
8 Bangladesh 165,092,000 8
9 Federazione Russa 146,877,088 85
10 Giappone 126,490,000 47

Fonte: https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_countries_and_dependencies_by_population




N.ro Stati più stabili e abitabili Popolazione Autonomie HDI 2017
1 Norvegia 5,312,343 11 949
2 Australia 25,043,200 8 939
2 Svizzera 8,492,956 26 939
4 Germania 82,740,900 16 926
5 Danimarca 5,789,957 7 925
5 Singapore 5,612,253 1 925
7 Olanda 17,249,700 15 924
8 Irlanda 4,792,500 1 923
9 Islanda 353,070 1 921
10 Canada 37,207,700 13 920

Fonte: https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_countries_by_Human_Development_Index


Scorrendo queste righe alcuni dati risaltano all'occhio:

- nessuno dei dieci paesi più grandi e popolosi del mondo fa anche parte dei dieci paesi riconosciuti come più stabili e abitabili dall'indice dello sviluppo umano (HDI, Human Development Index); ciascuno si eserciti a domandarsi il perché; scorrendo la classifica di quelli che vengono immediatamente dopo, le cose non migliorano affatto (Messico, Etiopia, Filippine, Egitto, Vietnam, R.D. del Congo...);

- gli USA potrebbero rappresentare una singolare eccezione perché risultano aver riagganciato il Canada in una sorta di ex equo al 10° posto, ma sappiamo che negli USA le condizioni della democrazia politica e dell'inclusione sociale non sono certo buone, nonostante si stia parlando della potenza imperiale che ancora oggi domina culturalmente, finanziariamente e militarmente il mondo (si guardano sempre troppo poco le classifiche delle spese militari, le quali non scordiamocelo, avvengono ancora oggi quasi esclusivamente in dollari);

- i grandi, con l'eccezione della Cina (eccezione parziale, ma non posso spiegare qui perché), sono tutti - almeno formalmente - delle democrazie elettorali; non può tuttavia sfuggire a chi li conosce o li segue da vicino, che la condizione di quelle democrazie è fortemente critica; i cittadini, per dirla con una espressione diciamo neutra, contano ancora troppo poco e le amministrazioni locali sono ancora troppo dipendenti da alti e lontani poteri centrali;

- i grandi, ancora, con l'esclusione del Bangladesh, sarebbero formalmente dei regimi federali o comunque fondati sul decentramento, ma la pratica lascia molto a desiderare (salvo forse in Giappone, stato unitario, ma in cui le autorità periferiche sono molto responsabilizzate);

- i dieci in testa alla classifica HDI sono quasi tutti molto più piccoli; i tre più grandi (Germania, Canada e Australia) sono a loro volta divisi in entità che godono di un autogoverno funzionante.

Speriamo di aver incuriosito qualcuno!

Se qualcuno intanto si chiedesse a che punto è l'Italia, eccovela:

- 23ma nel mondo per popolazione (60,436,469)
- divisa al suo interno in 19 regioni e 2 province autonome, più lo status speciale di Roma Capitale (22 unità dotate di forme di autogoverno più o meno spinte)
- indice di sviluppo umano 2017 a 887 (26ma posizione nel mondo)


Potremmo dire che l'Italia è in bilico (come altri paesi di media dimensione), fra i guasti del centralismo - che inevitabilmente significa militarismo all'estero e autoritarismo, esclusione sociale e distruzione ambientale sociale all'interno - e le speranze di andare avanti verso il decentralismo, per diventare, con tutti i suoi territori, come i cantoni della Svizzera o gli stati federati della Germania.

Chi scrive su questo blog è un attivista del decentralismo nel mondo e quindi esprime una chiara visione del mondo, ma ha un messaggio semplice e chiaro da dare anche come studioso di fatti politici e geopolitici: il decentralismo non lo potrà fermare nessuno.

E questa è veramente una delle rare notizie che da' un po' di speranza a tutti coloro che sono rimasti indietro. Siamo ancora in tempo a fermare la desertificazione culturale e ambientale del mondo.

* * *

(nell'immagine la proiezione di Gall-Peters, nota per restituire più realisticamente le dimensioni dei continenti del mondo - fonte wikipedia)

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