Dalla Toscana un segnale per un nuovo sistema elettorale più competitivo
Crediamo che il presidente toscano Enrico Rossi terrà fede al suo impegno sulla riforma della legge elettorale regionale e che la Toscana potrebbe, ancora una volta, lanciare un segnale politico utile a tutta la Repubblica, come ha già fatto più di una volta sin dagli anni della presidenza di Vannino Chiti.
E' ovvio che, non solo in Toscana, la legge elettorale non è in cima ai pensieri delle famiglie e delle imprese, ma chi scommette sul disinteresse dell'opinione pubblica su questo tema, fa un calcolo sbagliato. I cittadini sovrani sono anzi, al contrario, considerevolmente frustrati dal tradimento delle riforme elettorali maggioritarie e dalle riforme costituzionali incompiute. L'assenza di regole chiare di competizione interna ai partiti e di opportunità di carriera per giovani e volti nuovi, desta grande preoccupazione. Inoltre, davanti all'inevitabile invecchiamento e declino degli attuali leader, la preoccupazione su come se ne potranno selezionare di nuovi, è forte e molto diffusa.
Fra tutti i partiti italiani, solo il Partito Democratico, attraverso un suo cammino particolarmente faticoso e tortuoso e una serie impressionante di tentativi ed errori, si sta dimostrando in alcuni - pochi - casi davvero «contendibile». Alcuni outsider sono riusciti a vincere le primarie. I congressi interni, e non solo la cooptazione, stanno consentendo l'emersione di qualche nuovo dirigente. Persino l'antica e cristallizzata rivalità fra D'Alema e Veltroni sembra in procinto di essere risolta, se non altro attraverso il pensionamento di entrambi.
In tutto il resto del sistema politico, sembra proprio che coloro che vogliono proporre qualcosa di diverso o candidarsi per una nuova leadership, siano condannati a fondare un nuovo partito, come sta succedendo con Futuro e Libertà, dopo la cacciata di Gianfranco Fini dal PDL.
Questa assenza di spazi, opportunità e regole impedisce, nei partiti attuali, che si possano sfidare non solo le leadership nazionali di Berlusconi, Bossi, Casini, Di Pietro, ma persino quelle dei loro dirigenti regionali o locali.
Questo è inaccettabile, non solo perché è offensivo dei nostri sentimenti democratici, ma perché è il segno di un ben più drammatico fallimento istituzionale.
L'impossibilità di «scalare» i partiti, di cambiarli dall'interno, significa che in Italia si continua a ignorare che il pluralismo «nei» partiti è questione tanto rivelante, in una società aperta, in una democrazia occidentale, quanto il pluralismo «dei» partiti.
Non scomoderemo i grandi pensatori liberali, per raccomandare la libertà di scelta nel partito e non solo fra diversi partiti. Sarà sufficiente ricordare che i paesi dove i partiti sono arene elettorali dalle porte aperte, al cui interno la competizione per la selezione di nuovo personale politico è continua, come avviene nelle società anglosassoni, ma anche in Germania o nella vicina Svizzera, sono tutti, guarda caso, dal punto di vista politico, economico e sociale, più avanzati del nostro.
E' attraverso una continua competizione leale e regolata, che i talenti si fanno avanti anche sulla rischiosissima scena politica, che alcune personalità più generose e tenaci possono emergere, che le elite al potere si sentono stimolate a essere più concrete e più produttive, che la sovranità popolare può individuare e scegliere un proprio campione locale o un leader nazionale.
Nel 2004 la Toscana decise di abolire la preferenza facoltativa all'italiana, uno strumento che consentiva a piccole minoranze di selezionare i consiglieri regionali. Nello stesso tempo, con la legge regionale sulle primarie, il sistema politico toscano fece un primo, forse troppo timido, passo verso l'adozione di uno “statuto pubblico dei partiti”, cioè di un sistema di competizione istituzionalizzata non solo fra i partiti, ma dentro i partiti.
Continuiamo a credere che furono passi nella direzione giusta, per scoraggiare rapporti troppo clientelari fra elettori ed eletti, ma, cosa forse ancora più importante, per incoraggiare la formazione di partiti più uniti, quindi più grandi, più forti, più credibili, più responsabili verso la società.
Oggi quel ragionamento va portato avanti e completato, con coraggio, come ha promesso il presidente Rossi, stando ben attenti, però, a non cadere nella tentazione di tornare indietro. Non abbiamo bisogno del ritorno della vecchia preferenza facoltativa o della fine del maggioritario!
Abbiamo bisogno di coinvolgere più cittadini nella selezione dei futuri politici, non di meno. Abbiamo bisogno di un ancoraggio più diretto fra un territorio e il suo eletto. Abbiamo bisogno di regole democratiche che funzionino in tutti i partiti, non di nuovi partiti.
La Toscana, che è servita da esempio per l'abolizione della preferenza, può fare la differenza anche incoraggiando la democratizzazione della vita interna dei partiti, l'introduzione di una scelta della persona e non solo del partito, l'adozione di nuove forme di competizioni primarie regolate da leggi uguali per tutti.
Mauro Vaiani
vaiani@unipi.it
vaiani@unipi.it
Firenze - Pisa, lunedì 18 ottobre 2010
Pubblicato il 20 novembre 2010 su Libertiamo.it
Pubblicato il 20 novembre 2010 su Libertiamo.it
Si veda:
http://www.libertiamo.it/2010/11/20/la-toscana-come-laboratorio-per-un-sistema-elettorale-competitivo/
(acceduto l'8 dicembre 2010)
http://www.libertiamo.it/2010/11/20/la-toscana-come-laboratorio-per-un-sistema-elettorale-competitivo/
(acceduto l'8 dicembre 2010)