Siamo appena tornati dal Pride di Napoli con la convinzione che forse occorre abbassare un po' noi stessi e le nostre pretese, verso la realtà così com'è. Attraversare i bassi di Napoli ci ha confermato che il popolo, quello formato da chi fa il Pride e da chi lo accoglie, sta cambiando.
Mai come ieri, attraversando i quartieri spagnoli, abbiamo sentito che il Pride è sempre di più una festa spontanea di persone gay, lesbiche, transessuali, che finalmente si guardano negli occhi, si parlano, scherzano, sdrammatizzano, si abbracciano, si commuovono, con il resto del popolo. Le mamme, e le donne in genere, le abbiamo sempre viste applaudire e accogliere a braccia aperte i gay che sfilavano per i propri diritti. Ieri a Napoli siamo stati fermati, abbracciati e coccolati anche dagli uomini, di tutte le età.
Napoli, che non è certo esente né dagli antichi pregiudizi, né dalle molto più pericolose forme di moderno odio omofobico ideologico, ha riservato una accoglienza affettuosa a tutti: dai carri dei locali, che esplodevano di bellezza e divertimento, alle piccole delegazioni dei gay sordomuti del Triangolo silenzioso e dei gay poliziotti di Polis Aperta. La partecipazione dei gay credenti, cattolici ed evangelici, in particolare, è stata accolta con entusiasmo dalla popolazione, che in grande maggioranza conserva fortissimi sentimenti religiosi.
Siamo convinti che il Pride, portando per un giorno "Alla luce del sole", come recitava la felice intestazione della manifestazione di ieri, il popolo queer insieme al resto della gente, persone del posto insieme a persone di fuori, chi è sempre in prima fila nell'impegno sociale e politico insieme a chi ci rimane incuriosito ma ancora soprattutto imbarazzato un po' a distanza, svolge una grandissima funzione sociale. Scioglie il sangue dint'e vene, smonta paure e pregiudizi, incrina l'omofobia che c'è attorno a noi e soprattutto dentro di noi.
Da questo punto di vista, è sicuramente positivo che si moltiplichino i Pride locali, nelle grandi città ma anche nelle regioni e nelle province. Così come è sicuramente positivo ospitare i Pride internazionali, che diventano anche grandi eventi turistici, come l'Europride previsto a Roma per il 12 giugno 2011.
Ci permettiamo di suggerire ai vertici dell'associazionismo, alle istituzioni, agli imprenditori che finanziano queste manifestazioni, di incoraggiarne questo aspetto sociale e culturale, popolare e festoso. Ecco qualche stimolo critico.
Ricordiamoci, innanzitutto, che ai Pride stanno partecipando sempre di più, e devono sentirsi sempre più accolti e coccolati, persone mature e anziane, famiglie con bambini, portatori di handicap. Lunghezza, tempi e ritmi della parata non devono rappresentare un tour de force.
Il "comizio finale", con la teoria di interventi, troppi e forse troppo rituali, è stato ignorato dalla gente. Piazza del Plebiscito si è rapidamente e desolatamente svuotata. Gli individui e i gruppi hanno dato il meglio di loro stessi in una parata lunga e impegnativa, che è il cuore del Pride e il momento in cui le persone sono le vere protagoniste. Alla fine del corteo non sarebbe forse meglio trovare bagni, posti di ristoro, giardini e gradini su cui fermarsi un poco a riposare, una musica gioiosa, invece che tante parole?
Le feste notturne sono sicuramente un momento di grande attrattiva, per chi è del posto o decide di fermarsi a dormire, ma tantissime persone, per motivi economici o familiari, devono ripartire entro la serata. Forse meriterebbero che una prima festa popolare, con cibo e bevande a prezzi modici, avessero luogo subito, alla fine del Pride, nel luogo in cui si conclude la manifestazione.
Il Pride è continuamente rinnovato dalla partecipazione spontanea di una cittadinanza attiva. Si rinnovino e facciano qualcosa di nuovo, anche i vertici del movimento.
Mauro Vaiani
Link all'articolo originale (ultimo accesso 27 marzo 2012)
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