Nell'archivio personale di Mauro Vaiani, ai tempi di Veraforza, abbiamo ritrovato questa lettera. Eravamo abbastanza avanti, diremmo, considerato che stiamo parlando di prima del crollo del Muro di Berlino. Al momento non ricordiamo, né possiamo controllare, se il settimanale "La Voce di Prato" l'avesse a suo tempo pubblicata. La riproponiamo qui per condividerla con i tanti toscani che stanno per partecipare al grande cantiere dell'autogoverno nel XXI secolo (NdA, 8 novembre 2017).
26
agosto 1989
LIBERTA'
E COMUNITA' NEI BORGHI
Cari
amici de "La Voce di Prato",
chiedo
ospitalità al settimanale diocesano per intervenire sulla libertà e
l' autonomia dei borghi, delle frazioni e dei paesi del nostro
Comune, a titolo personale ma a partire dalla mia esperienza di
consigliere del Quartiere n.9 (Mezzana e Prato Est), eletto nelle
liste della Democrazia Cristiana.
Prato
ha riaperto il dibattito sulla propria suddivisione in quartieri. La
Giunta ha diffuso un documento su questo tema in Giugno ed il 13
Luglio si è tenuto un Consiglio Comunale allargato ai rappresentanti
dei quartieri, per discuterlo. Il decentramento delle città è,
secondo la legge in vigore, competenza dei comuni, i quali hanno il
potere di "suddividersi" in circoscrizioni, il cui
ordinamento è rigidamente limitato e preordinato dalla legge stessa.
Il
documento della Giunta, dopo una premessa in cui si sottolinea il
ruolo dei quartieri come "terminali" ripetitori dei servizi
di un comune più efficiente e si prende atto che la gente è
sfiduciata sul ruolo dei quartieri, dice: "Il numero ottimale
per Prato potrebbe essere di 5 o 6 quartieri. Un' ipotesi di lavoro è
quella di definire un quartiere per il Centro Storico, e altri
quattro o cinque per le grandi zone geografiche della nostra città".
La riduzione viene vista in funzione del "potenziamento in
uomini e mezzi" di questi "terminali" dei servizi
comunali.
Io,
anche se lavoro con e fra gli elaboratori e i computer nelle
organizzazioni pubbliche e nei servizi sociali, non amo i
"terminali", che in informatica sono - quasi per
definizione - ripetitori "stupidi" di soluzioni trovate in
alto, al vertice.
Preferisco
l' autogoverno che parte dalle persone. La Giunta ha parlato sì
della necessità di un profondo e partecipato dibattito, ma in tempo
utile per le elezioni del 1990. In pratica si abolirebbero in in sei
mesi gli 11 quartieri della città, nati 15 anni fa, e formati dopo
annose consultazioni in un' ottantina di assemblee popolari.
La
riforma dei quartieri, se ogni comunità vicinale deve esprimere il
proprio parere, non può essere fatta in poco tempo. Da qui al 1990,
invece, si potrebbero ragionevolmente ATTUARE le parti ancora
disattese dell' attuale legge. Diamo ai nostri quartieri deleghe
concrete e poteri utili, come come quello di tagliare l' erba dei
propri giardini. Togliamo ai consigli il compito estenuante di dare
"pareri" pletorici su problemi di competenza comunque
comunale, con l' unico risultato di stancare il lavoro volontario dei
consiglieri e di allungare i tempi della burocrazia comunale.
Dopo
il 1990, oppure in vista delle nuove e tanto attese leggi sulle
autonomie locali, il dibattito potrà svilupparsi un po' più a
fondo. Fino ad entrare nel senso più profondo dell' autonomia, che
risiede nell' antico e nuovo spirito comunitario e libertario dei
paesi, delle frazioni e dei borghi, importante in quanto elemento di
continuità nel tempo di una cultura della convivenza a misura d'
uomo e rispettosa dell' ambiente. Credo che non ci sia alcun futuro,
infatti, per la città metropolitana come enorme centro di interessi
economici e di potere, come eccesso di cementificazione, come
distruzione di identità e comunità umane.
A
Roma il PCI si è espresso favorevolmente alla costituzione di un
nuovo "libero" comune di Ostia, perché una comunità più
circoscritta potesse realizzare il proprio equilibrio tra qualità
urbana e tutela della natura. Sotto il governo della giunta
capitolina sono andati avanti, al contrario, solo progetti di
cementificazione, di costruzione di nuovi "poli", di
realizzazione di nuove striscie di cemento, il tutto perché milioni
di persone si sentano sempre più in periferia e a milioni si
spostino sempre di più verso centri sempre più artificiali, con le
proprie macchine, per decine di kilometri, dilapidando il tempo della
propria vita e consumando le energie della terra. Certo Roma è
immensa, ma anche Prato, come comune e come ente che centralizza
poteri e come arena di speculazioni potenzialmente distruttive per l'
ambiente e per l' uomo, non scherza. E, cercando il bene della
persona umana, non si possono avere pregiudizi contro le cose
piccole, ma, al contrario, bisogna fare tesoro del senso dei limiti
da APPORRE ad uno sviluppo insostenibile e divoratore di terra, acqua
e aria.
Se
si crede nella sussistenza della libertà e della comunità nel
territorio urbanizzato, bisogna discutere della formazione di "liberi
borghi", che insieme ai comuni di una stessa area vitale (come
l' Area Pratese, il Mugello, la Versilia, l' Empolese), si associno
in un nuovo ente intermedio all' interno della regione.
I
quartieri del futuro potrebbero nascere dalla gente che vuole
riconoscersi e stare insieme, dallo sviluppo dell' associazionismo e
della vita comunitaria. Potrebbero nascere per essere delle assemblee
che si raggiungono a piedi, in bicletta, in carrozzella. Piccole
"polis" a misura dei vecchi, dei bambini, delle famiglie,
degli handicappati e dei normodotati. A misura della persona umana,
non dell' uomo-autista medio.
Potrebbero
essere riconoscibili, come lo erano le antiche Pievi di S.Ippolito,
S.Giusto, S.Giorgio, raccogliendosi attorno a piazze pedonali.
Potrebbero avere dal restauro o dalla trasformazione di edifici
pubblici esistenti dei piccoli municipi. Potrebbero provvedere alle
scuole primarie, all' assistenza domiciliare, alla medicina
preventiva, al verde pubblico, al mantenimento dei cimiteri e alla
raccolta dei rifuti urbani riciclabili.
Il
quartiere, come borgo, frazione o gruppo di parrocchie, potrebbe
essere abbastanza piccolo per permettere alla gente di eleggere dei
consiglieri che sono uomini e donne del vicinato. Potrebbero avere
dei sistemi elettorali privi di liste di partito. Potrebbero eleggere
direttamente il proprio "borgomastro". Potrebbero avere un
nome e uno stradario. Potrebbero avere bilanci autonomi su cui
rendere conto direttamente alla gente. L' Area Pratese, dalla Val di
Bisenzio al Montalbano, non diventerebbe anarchica, ma potrebbe
essere rappresentata da nuovi organi provinciali in cui antichi
comuni e nuovi borghi non sarebbero sproporzionati come lo sono
attualmente Prato e Poggio a Caiano.
Comunque
sia, questo quartiere non va disegnato sulla carta o sulla media
della popolazione residente. 3.000 abitanti non sono pochi per
permettere ad una frazione di essere un "centro" e non la
periferia di qualcun altro. 30.000 abitanti non sono troppi, se è
la gente a chiederlo attraverso assemblee, durante le feste popolari
e dei partiti, o con i risultati di referendum consultivi.
Mauro
Vaiani