Parto da un concetto difficile, che davvero pochi capiscono: conoscere le ragioni di inimicizie secolari è utile, ma la storia non torna indietro. Conosco abbastanza bene le ragioni storiche degli abitanti ebrei, arabi, drusi, armeni, beduini, samaritani e di molte altre comunità, della più svariata origine, ma invito a non usarle per distribuire patenti di torto o di ragione.
Il passato può aiutare a capire quanti errori politici e geopolitici siano stati fatti, da forze locali, coloniali, internazionali. Ma non ci sarebbe nulla di più irrealistico che immaginare che il passato possa essere riparato o ripetuto. Non si riparerà mai abbastanza e non si ripeterà mai come molti, specie le persone stupide e settarie, vorrebbero.
Accettiamo di guardare avanti, con fantasia, creatività, amore per le generazioni future, come fecero - più o meno sinceramente - le due più importanti realtà politiche arabe e israeliane al tempo di Rabin e Arafat, con gli accordi di Oslo del 1993.
Porto il lutto per tutti i morti (tutti vuol dire tutti, purtroppo quando si è in conflitto si uccide e si viene uccisi), ma mi rifiuto anche di partecipare a piagnistei. Non vedo innocenti, e nemmeno persone lungimiranti, fra coloro che hanno governato da quelle parti negli ultimi vent'anni (faccio una piccola eccezione per Yair Lapid, un uomo della mia generazione, che spero non mi deluda, perché ha ancora molto da dire e da fare).
Da vecchio amico di Israele non smetterò mai di augurarmi la cacciata di Netanyahu, narciso prepotente, incompetente, pericoloso per Israele, insieme a tutti quei parassiti (sedicenti "religiosi") che ha portato al potere.
Come difensore da sempre dei diritti umani di tutti dappertutto, non smetterò mai di criticare la corruzione di tutte le organizzazioni internazionali, europee, arabe, palestinesi, che sprecano cifre enormi (gli Arabi Palestinesi non sono affatto dei poveri dimenticati, ma letteralmente mantenuti, con modalità che sono profondamente criticabili, a mio modesto parere).
Sui criminali di Hamas che sono al potere a Gaza non importa che scriva nulla, perché la degenerazione di quella setta fanatica è sotto gli occhi di tutti.
Se avessi un ruolo e una voce pubblica più importante, non mi sottrarrei al tentativo di porre limiti alla carneficina di questi giorni, dopo lo sciagurato pogrom scatenato da Hamas il 7 ottobre. Pare che molti potenti della Terra si stiano muovendo per la liberazione degli ostaggi (e spero anche per la liberazione di qualche prigioniero politico nelle carceri israeliane) e per una tregua. Me lo auguro sinceramente e prego perché qualche risultato sia raggiunto.
Come attivista e intellettuale, impegnato nel civismo in Toscana, e come esponente di una rete come Autonomie e Ambiente, che ha ambizioni di governo nella Repubblica delle Autonomie e nell'Europa dei Popoli, voglio espormi in un appello per gli abitanti di Gaza.
Se le cifre diffuse dai media internazionali sono attendibili, strette fra l'ignavia dell'Egitto e le politiche securitarie di Israele, schiacciati sotto il malgoverno di Hamas, mantenuti ma anche vessati dalla corruzione dell'Autorità Nazionale Palestinese, vivrebbero almeno due milioni di persone, a Gaza. Almeno un milione di esse sarebbero minori.
Sono troppi per restare tutti in quel fazzoletto di territorio ormai reso inabitabile dagli errori fatti sin qui.
Occorre aprire un corridoio umanitario per farne venire un po' da noi. Non come profughi, non come rifugiati, non come ospiti temporanei, ma come nuovi cittadini, da integrare, perché non hanno e non avranno mai un paese in cui tornare.
Apriamo un canale che consenta a intere famiglie di Gaza di immigrare qui in Toscana e negli altri territori italiani che fossero disponibili, aiutandoli un minimo (senza aggiungere il nostro assistenzialismo a quello internazionale che li ha ridotti come li ha ridotti), consentendo loro di rifarsi una vita qui.
Conosco abbastanza la nostra Repubblica di autonomie, per azzardare che potremmo accogliere decine di migliaia di famiglie che ormai laggiù non hanno più un posto dove vivere o dove tornare.
Sarebbe da fare.
Sarà fatto?
(Mauro Vaiani)
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