venerdì 11 luglio 2003
Intervento di Mauro Vaiani
Euroscetticismo naturale
L'agenzia ANSA ci informa, con un dispaccio da Brussel di ieri, giovedì 10 luglio 2003, delle ore 18.15, che la Convenzione presieduta da Valery Giscard d'Estaing ha concluso il suo lavoro ed ha varato un progetto di trattato che riforma radicalmente l'Unione Europea, introducendo una Costituzione comune a tutti i membri, vecchi e nuovi, dell'Unione Europea. A Roma, sotto la presidenza italiana, presumibilmente nell'ottobre del 2003, ci saranno i lavori della conferenza intergovernativa, cioè dello strumento previsto negli attuali trattati europei per avanzare simili riforme.
Le pretese sono sempre magnifiche e immaginifiche perché, sin dalla loro origine, le istituzioni comunitarie europee e il cosiddetto processo di "integrazione" dell'Europa, non hanno mai nascosto il loro chiaro ed ultimo intento: la nascita di uno stato europeo.
Non ha importanza quanto lenti sembrino i progressi del processo di integrazione. Le vestali dell'Europeismo si stracciano le vesti perché i passi in avanti sembrino sempre piccoli. La realtà è che passi in avanti ci sono, eccome.
Ogni piccolo rafforzamento delle istituzioni comuni ed ogni minimo aumento delle loro competenze, ha effetti sicuri e duraturi. Lentamente, ma inesorabilmente, ci abituiamo ad essere governati non sono dalle nostre istituzioni locali, o da quelle della Repubblica Italiana, ma anche da Brussel e dalla sua burocrazia.
In chi partecipa alla vita civica del proprio borgo, in chi coltiva la speranza dell'autogoverno personale, sociale, locale espresso al massimo delle sue potenzialità, in chi lotta perché questa Repubblica Italiana diventi finalmente una confederazione di città e comunità locali, in chi si occupa di quello che non ci vergogniamo di chiamare Toscanismo, cioè di autogoverno e maggiore libertà per la nostra madreterra di Toscana, un certo euroscetticismo è naturale.
Non siamo ancora riusciti in modo serio a diminuire, né in potere, né in numero di personale, né in risorse disponibili, il potere centralizzato a Roma delle istituzioni e delle burocrazie repubblicane. Figuriamoci se proviamo il minimo entusiasmo per la crescita delle istituzioni e delle burocrazie europee.
Il nostro federalismo non è una tendenza all'ulteriore integrazione, a una maggiore concentrazione di potere e denaro in capitali sempre più lontane da noi e dalla nostra capacità di controllo.
E' una richiesta di decentramento.
E' una resistenza per diminuire il peso dei poteri che ci sovrastano.
Noi vogliamo sfoltire la pletora delle organizzazioni internazionali.
Vogliamo strutture essenziali e ragionevoli, forse basterebbe la sola NATO, per la difesa e la politica estera comune di tutti i paesi occidentali.
Vogliamo una Confederazione che gestisca l'eredità di questi 45 anni di cooperazione continentale, dai Trattati di Roma del 1957 ad oggi, che salvaguardi la moneta che abbiamo voluto comune, che continui ad assicurare la libera circolazione di persone e beni nello spazio europeo, che custodisca il patrimonio giuridico che ci ha portato ad armonizzare stili di produzione e di lavoro. Non vogliamo diventare né un superstato, né una superpotenza. Non vogliamo avviarci verso gli eccessi di centralismo politico, economico e militare che sono stati toccati nell'età della guerra fredda dall'URSS, dagli USA e dagli altri grandi stati moderni.
Non vogliamo essere governati di più, in modo sempre più invasivo, da poteri sempre più alti e lontani.
Semmai vogliamo essere governati di meno, su meno materie, da poteri vicini e controllabili.
Vogliamo che le competenze dell'Unione Europea siano ridotte, le politiche comuni riviste, i bilanci diminuiti, la produzione di nuove regole sia rallentata, il personale sia drasticamente tagliato.
Vogliamo che siano diminuiti i trasferimenti del nostro denaro all'Unione, di cui è vero che una parte ci ritorna indietro come "aiuti" o "fondi" comunitari, ma quanto e dopo quanti passaggi? Attraverso quanti filtri e quante pratiche? Con quale celerità ed efficacia? E poi ritorna, sì, sul territorio, ma attraverso chi e rafforzando il potere e la capacità di controllo clientelare di chi altro?
E non ci si venga a parlare di "democratizzazione" dell'Unione Europea attraverso il rafforzamento del suo parlamento. Si tratta di un consesso troppo numeroso, i cui membri vengono eletti in collegi troppo ampi e con sistemi elettorali pensati per contare il peso dei diversi partiti, non per scegliere delle persone precise, riconoscibili e responsabili. Si riunisce troppo, discute di troppe cose, si ammanta di una competenza generale e universale, pontifica come un concilio sul sesso, sul lavoro, sulla cultura, sulla vita. Ma chi credono di essere? E quanto ci costano?
Per avere un controllo democratico sulla vita delle nostre istituzioni comuni non sarebbe forse sufficiente un senato di poche decine di membri, uno per ciascuno degli stati membri o, come nel caso della Germania, della Spagna e - speriamo presto - dell'Italia, per ciascuna delle comunità autonome del proprio ordinamento federale? Naturalmente eletto direttamente dal popolo, con sistema maggioritario, uninominale, ad un turno.
Insomma, ci vuole una frenata. Ne va delle nostre tradizioni e libertà. Della nostra serenità e della qualità spirituale e sociale della vita delle generazioni future, dei nostri figli.
E ci vuole subito.
Sin dal prossimo ottobre, quando a Roma si riunirà la conferenza intergovernativa.
Cominciamo a credere che, mentre ci prepariamo alle battaglie politiche per il rinnovamento dei nostri comuni e province nel 2004 e all'elezione del nostro nuovo governatore della Toscana nel 2005, sin dalle prossime settimane, dovremo trasformare il nostro euroscetticismo naturale in una agenda politica, con l'obiettivo di dare una calmata a tutti coloro che vogliono trasferire sempre più potere e denaro nelle mani di poche migliaia di eurocrati concentrati a Brussel.
Mauro Vaiani
gruppo di studio
Toscana Libertaria - Toscana Insieme
Insieme per Prato
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