A che punto siamo, caro governo “del fare” e cara opposizione “delle cose concrete da fare insieme”? Siamo ancora in tempo o ci siamo ficcati in un cul-de-sac?
Si devono votare alla svelta i tagli voluti da Tremonti, purtroppo necessari, perché l’Euro, se i governi non cominciano a tagliare le spese, colerà a picco. Poi l’11 giugno inizia Sudafrica 2010, manifestazione durante la quale andremo – giustamente – tutti nel pallone. Dopo di ché saremo in estate e, come è noto, le istituzioni fanno almeno il doppio di vacanze, rispetto a noi comuni cittadini. Di conseguenza di politica, di quella seria, che produce meno sprechi e nuove leggi, non si riparlerà fino a settembre inoltrato.
Alla ripresa dei lavori nel cantiere politico e istituzionale italiano, resteranno tre anni scarsi prima che si torni a votare nel 2013, sempre che ci si arrivi. Per fare una riforma costituzionale occorrono quattro passaggi: due volte alla Camera, due volte al Senato, senza contare quelli nelle relative commissioni. Speriamo tanto di sbagliarci, ma siamo già in ritardo. Ancora una volta le riforme che ci aspettiamo da vent’anni non sono in vista. Non sarà che, oltre che mancanza di tempo, qui mancano anche le idee e la lucidità necessarie per andare incontro alla volontà popolare?
Facciamo tre esempi.
Primo. Gli elettori hanno premiato il federalismo a partire dalle elezioni regionali del 1990, confermando questo desiderio anche alle ultime regionali. Ai referendum del 1993 chiesero a grande maggioranza l’abolizione dei ministeri centrali che si occupano di cose che sono state devolute alle regioni. Ebbene, il IV governo Berlusconi, che dovrebbe essere – a parole – il più federalista della storia, non solo ha ancora il ministero dell’Agricoltura, ma ha anche ripristinato quelli del Turismo e della Sanità, e ha creato ex novo quello della Gioventù. Erano proprio tutti necessari? Forse bastavano dei sottosegretari di stato a coordinare il lavoro delle regioni e a rappresentarle in Europa, un po’ come accade in Germania.
Secondo. C’è un consenso universale attorno alla diversificazione dei compiti della Camera da quelli del Senato, con relativa drastica diminuizione del numero dei parlamentari. E’ difficile comprendere perché i leader del paese, Berlusconi, Bossi, Bersani, Di Pietro, Casini, che almeno su questo sono tutti d’accordo, non abbiamo ancora messo i propri gruppi parlamentari al lavoro. Oltre ad avere un grande valore simbolico in tempi di austerità, la riduzione dei parlamentari e la diversificazione delle loro funzioni, costituiscono la madre di tutte le altre riforme. Senza un Parlamento rinnovato, il cammino di ogni altra riforma sarà sempre in salita.
Terzo. Almeno in tre – Berlusconi, Bersani e Di Pietro – si sono ripetutamente dichiarati favorevoli a un riconoscimento delle coppie omosessuali. Se questa intesa bipartisan esiste veramente, bisogna che la Commissione giustizia della Camera, presso cui è depositata la nota proposta dei Di.Do.Re., si metta subito al lavoro.
Fra i politici che attualmente guidano la Repubblica ci sono molti ministri operosi. Indubbiamente tante situazioni difficili sono state affrontate, sinora, con successo. La gente, però, si dimentica in fretta dei problemi risolti.
La differenza fra l’essere uno dei tanti leader popolari e cambiare stabilmente e profondamente in meglio il proprio Paese, entrando nella storia, la fanno le riforme istituzionali e le leggi innovative, che sono le cose che restano, mentre gli uomini, anche i migliori, passano.
Mauro Vaiani