Abito alle porte di Pisa, nel borgo di San Giusto. Davanti a casa mia ci sono dei terreni rimasti liberi, perché stretti fra infrastrutture ferroviarie, stradali e aeroportuali. Li candido ad ospitare una centrale nucleare davanti casa e assicuro il mio impegno affinché la si possa realizzare nel mio quartiere, nel mio giardino o in my backyard, come usano dire quelli che, invece, non vogliono niente.
Lo scrive uno come me, che non si è mai pentito di aver votato contro il nucleare al referendum del 1987. Scelta che anzi rivendico. Avevo sì vent’anni di meno. Ero sicuramente rimasto impressionato dal disastro di Chernobyl. Soprattutto, però, ero contrario a quel nucleare finanziato massicciamente dallo stato. Temevo la moltiplicazione partitocratica dei costi di gestione e dei posti di amministrazione. Non mi fidavo del centralismo, delle partecipazioni statali, dei baronati universitari, delle burocrazie romane. Lavoravo, già da allora, per creare delle alternative, fare spazio all’innovazione, moltiplicare le possibilità di scelta, mettere in gara i progetti e le soluzioni, in una libera competizione fra produttori e distributori di energia.
Oggi vorrei sostenere un progetto di centrale nucleare prima di tutto bello, perché la bellezza è la prova della serietà di una grande opera.
Deve essere un progetto realistico, ma anche avveniristico. Se sarà sicuro per chi ci lavora dentro, mi sentirò sicuro anch’io che ci vivrò vicino per qualche decennio. Ovviamente l’impianto dovrà essere sicuro anche qualche decennio dopo la mia morte. Sia chiaro da subito dove avverrà la custodia millenaria delle scorie, il cui costo deve essere considerato nel budget, insieme con le spese per il futuro smantellamento dell’impianto, una volta obsoleto.
Pretendo che a realizzare il progetto sia una società in cui sono presenti capitali di rischio. Non mi fiderei di
nessuno che volesse costruire una cosa così importante, solo a spese della Repubblica o della Regione, senza metterci qualcosa di tasca sua. Sono disposto a comprare anch’io la mia piccola quota. Può esserci, certo, un contributo pubblico, poiché è strategico per l’Italia ridurre la dipendenza geopolitica dal combustibile fossile (senza però buttarci a capofitto in quella del combustibile fissile), ma tale contributo deve essere limitato e prestabilito per non entrare nella spirale dei rifinanziamenti in corso d’opera.
Se, con il tempo, la centrale davanti casa mia funzionasse in attivo, suggerirei infine che una parte dei profitti sia devoluta alle ricerche su nuovi fonti di energia. Oltre che nella sfida più grande di tutte, non solo dal punto di vista tecnologico: quella di imparare a risparmiare, a non sprecare, a conservare la tantissima energia
che oggi produciamo.
Mauro Vaiani
Fonte: Archivio on line del Tirreno (acceduto il 3 giugno 2008)