domenica 28 gennaio 2018
Un grande spot anti-centralista!
La formazione delle liste per le elezioni politiche italiane del prossimo 4 marzo 2018 è stata resa, se era possibile, ancora più centralizzata e verticalizzata.
Un centralismo e un verticismo politico talmente esagerati che alla fine hanno suscitato più scherno che indignazione (una delle foto più popolari in rete è quella che riproduciamo in questo post: la ex-ministro delle riforme centraliste, Maria E. Boschi, candidata a Bolzano e incollata nell'effige della patriota sudtirolese, la cara amica Eva Klotz, a cui mandiamo i nostri più affettuosi auguri in questo momento in cui è assente dalla vita pubblica per motivi familiari).
Ciò che la banda dei quattro (Renzi, Berlusconi, Salvini e gli alfaniani sparsi) vi avevano promesso, hanno mantenuto: concentrazione del potere di decidere nelle mani di pochissimi, ostracismo alle liste locali, strage di candidati indipendenti, pulizia etnica di minoranze interne.
Un sistema elettorale così centralista ha drammaticamente condizionato anche coloro che si erano opposti a esso, come "Liberi e Uguali" o i "Cinque Stelle".
Il centralismo, ovviamente, non funziona praticamente mai, ma in materia di partecipazione e di democrazia mostra ancora più chiaramente tutti i suoi limiti.
Quando assemblee di militanti, congressi interni, votazioni di collegio, non contano nulla, il centralismo diventa davvero intollerabile agli occhi di un numero sempre maggiore di cittadini appena appena attivi o minimamente politicamente coscienti.
Il Rosatellum-Fascistellum-Renzianellum-Macellum ci ha tolto la possibilità concreta di esercitare la nostra sovranità, ma si rivela e si rivelerà sempre di più nei prossimi giorni, come uno dei più grandi spot anti-centralisti che sia mai stato diffuso.
Lo scrivo con convinzione, non solo con speranza, invitando i miei compagni e amici decentralisti d'Italia a non desistere, a sorridere, a credere fermamente che tutti i territori e le comunità locali si ribelleranno presto contro tutti i poteri alti e lontani.
mercoledì 24 gennaio 2018
Ancora morte in Afghanistan
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Una mappa etnografica dell'Afghanistan (Wikipedia, 2001) |
Nel 2018 siamo ancora in Afghanistan, paese nel quale è appena trascorso un altro giorno di grande dolore.
I media conformisti non riescono a resistere alla tentazione di far passare il messaggio assolutamente subdolo che la presenza occidentale serva a qualcosa, contro la povertà, il bigottismo, la povertà.
Eppure sono passati quasi vent'anni di occupazione e protettorato stranieri i quali, da almeno dieci anni, sono non solo privi di obiettivi realistici, ma totalmente insensati.
Come è possibile che le nostre elite dominanti, in Italia, in Europa, in Occidente, tengano in vita una operazione così grande, costosa, velleitaria?
Dopo così tanti anni, anche chi non ha studiato la storia dell'area, anche chi non ha seguito la stampa geopolitica più onesta, anche chi non ha voluto confrontarsi con i media di controinformazione, dovrebbe aver capito che la nostra presenza militare e la nostra assistenza sono non solo inutili, ma assolutamente controproducenti.
Nella complessità della situazione di quell'enorme territorio (grande due volte l'Italia, con circa metà della popolazione), c'è una scomoda verità che dobbiamo ripetere e gridare: ogni singolo dollaro, o euro, o sterlina che gli occidentali spendono in Afghanistan viene diviso più o meno in due rivoli.
Un primo rivolo va a finanziare il governo centrale cosiddetto legittimo e la sua cosiddetta lotta contro i Talebani.
Un secondo rivolo viene intercettato - c'è ancora qualcuno che si sorprende? - dai Talebani stessi, attraverso furti, corruzione, estorsioni - ma non si escludono canali di finanziamento più diretti.
In questo modo la nostra presenza militare e i nostri aiuti alimentano un circolo vizioso di corruzione, distruzione e guerra infinita.
Una assurda trappola in cui neocolonialisti esterni e oppressori interni si ritrovano invischiati e insieme e complici, a tutto vantaggio di vari establishment militari-industriali.
Più soldati mandiamo e più soldi diamo al governo centrale afghano per combattere i Talebani, più i Talebani riescono a sottrarre risorse per alimentare la propria resistenza al governo. E così via.
Fino a quando sopporteremo questa sanguinosa finzione che la nostra presenza occidentale in Afghanistan serva all'Afghanistan?
Alcuni interventi del passato, per approfondire:
http://diversotoscana.blogspot.it/2015/10/come-le-grandi-potenze-finanziano-il.html
http://diversotoscana.blogspot.it/2013/07/via-dallafghanistan-non-ci-vuole-un.html
domenica 21 gennaio 2018
Fermiamo il sovranismo europeo
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Un sondaggio RAI sull'Europa del 2014 |
Noi ci opponiamo al sovranismo italiano, che è sinonimo di centralismo, militarismo, ingiustizie sociali e distruzioni nelle periferie. Lo combatteremo fermamente.
Nemmeno crediamo nel sovranismo europeo e continueremo a sviluppare la riflessione eurocritica che conduciamo da anni, perché il sovranismo europeo è, se possibile, ancora più pericoloso di quello italiano.
Si pensi solo all'idea assurda dell'elezione diretta di un presidente europeo, con primarie europee. Solo chi non conosce proprio nulla degli inganni mediatici, delle "fake news" imposte dall'alto, delle ingiustizie economiche e finanziarie, del neocolonialismo interno ed esterno, dei disastri ambientali e sociali praticati dalle grandi democrazie continentali (gli USA, la Russia, l'India, ma anche Brasile e Nigeria), può immaginare che una tale concentrazione di potere e di ricchezza possa condurre a qualcosa di buono.
Un presidente europeo eletto direttamente, magari sinistramente selezionato con regole alla francese, incarnerebbe esattamente l'opposto dell'idea di un effettivo controllo dei popoli e dei territori sulle proprie economie locali, sui loro servizi pubblici, sul loro futuro culturale e politico.
Dobbiamo tenerci lontano dall'illusione centralista e statalista europea alimentata da personaggi come Macron (con l'aiuto della Merkel), sposata in Italia dai neocentralisti renziani e dalla lista Più Europa.
Dobbiamo dire chiaramente NO ai tecnocrati europei che, coperti da un potere presidenziale centralizzato, diventerebbero ancora di più i padroni di tutto e di tutti.
Jean-Claude Juncker fu sprezzante con la ragioni della Catalogna e con le regioni di tutta Europa, quando disse che non gli sarebbe piaciuta una unione europea con 90 membri.
Invece questo blog e pochi altri autonomisti, crediamo davvero in una nuova confederazione europa composta non da 27, non da 90, ma da 200 repubbliche.
Una confederazione che si rifiuti di concentrare ricchezze e potere è esattamente ciò che ci serve, contro le tentazioni del centralismo italiano e, ancor peggio, del centralismo europeo.
lunedì 8 gennaio 2018
Il sovranismo italiano non ci salverà
Condivido anche qui una riflessione che ho fatto, con l'aiuto dei miei amici e compagni autonomisti, in merito a una cosa sbagliata che abbiamo trovato nel programma di Potere al Popolo, nella sua versione disponibile online a inizio 2018.
Si tratta di un immotivato e anzi controproducente attacco alla riforma del Titolo V del 2001. Un altro dei tanti che si sono succeduti nel tempo. Ne ho parlato prima di tutto con loro e spero in un loro ripensamento. E' importante che questa nuova aggregazione apra al proprio interno una riflessione sui rischi del sovranismo. Il sovranismo è intimamente connesso con tutte le illusioni centraliste e non ne sono esenti, purtroppo, forze vecchie e giovani, di sinistra o di destra, del sud o del nord.
La
riforma costituzionale del 2001
e la lotta per forme più avanzate di autogoverno
e la lotta per forme più avanzate di autogoverno
Noi autonomisti, nel nostro impegno per promuovere forme più
avanzate di autogoverno, dialoghiamo con tutti coloro che si mostrino
sensibili su questo tema.
Per questo ho partecipato anche alla III
assemblea di Potere al Popolo a Firenze, giovedì 4 gennaio 2018 e in
quella sede sono intervenuto per segnalare che, nell’ultima
versione del loro programma, nel capitolo 1 (difesa e rilancio della
Costituzione), c’è un obiettivo parecchio problematico:
ripristinare il Titolo V della Costituzione com’era prima della
riforma del 2001.
A
rischio di apparire semplicistico, vorrei che non si dimenticasse che
la volontà di cancellare la riforma del 2001 – l’unica
che è stata
ratificata dal popolo - era
nel progetto neocentralista
della riforma Boschi-Renzi-Verdini, quello
sonoramente bocciato dal popolo italiano il 4 dicembre 2016, e
che si tratta di una richiesta sempre reiterata da forze
esplicitamente centraliste,
come Fratelli d’Italia. Il
rischio, diciamocelo francamente, è quello dell’anti-regionalismo,
che porta dritti sul terreno
scivoloso di un certo
sovranismo italiano.
La
presidenza dell’assemblea fiorentina ha verbalizzato
che si farà conoscere al
coordinamento centrale di Potere al Popolo il rilievo critico. Si
scrive
a Roma, quindi. Spero che si
faccia anche, ciascuno nel
suo ambito, qualcosa per liberare la politica da questa dimensione
eccessivamente verticale.
In
sintonia con considerazioni espresse in altre realtà territoriali,
come per esempio Pesa Sardigna
(http://www.pesasardignablog.info/2018/01/03/potere-al-popolo-progetto-neocentralista/),
vorrei anche aggiungere qualche riflessione in più.
La
riforma del Titolo V è stata una tappa, sicuramente problematica e –
dal punto di vista di noi decentralisti - senz’altro poco
coraggiosa, di uno storico movimento politico e culturale per
liberare l’Italia dal suo centralismo. Pur con tutti i suoi limiti,
essa va considerata una conquista democratica. Non per nulla la sua
attuazione è stata così fortemente ostacolata da tutte le forze più
reazionarie e autoritarie (non solo italiane): poteri,
funzioni e risorse, che
avrebbero dovuto essere affidati alle comunità locali secondo la
riforma del 2001, sono stati infatti largamente
espropriati dalle tecnocrazie internazionali, europee e nazionali. Il
declino dei servizi pubblici, per esempio, non è stato causato dal
regionalismo, ma dall’aver sottratto sempre più risorse e
autonomie alle regioni, in nome dell’attuazione dell’austerità e
dell’omologazione imposte dai vigenti trattati europei.
Le
regioni, in Italia e in Europa, vanno quindi
difese e anzi rilanciate
come uno dei pochi presidi di democrazia e socialità sopravvissuti,
come dimostra l’attualità politica in Sardegna, Puglia
e Veneto, senza dimenticare ciò che sta accadendo in Corsica,
Catalogna, Scozia. Tutti
coloro che credono nel protagonismo dei cittadini dovrebbero
rallegrarsi del fatto che, praticamente
in tutte le regioni italiane ed
europee, ci sono lotte per
ottenere maggiore autonomia, se non forme ancora più radicali di
autogoverno.
La
richiesta di abolire sic
et simpliciter la
riforma costituzionale del 2001, da
parte di Potere al Popolo, mi pare incoerente con questo necessario
regionalismo europeo e internazionalista e, se mi posso permettere,
incoerente anche
con il resto del suo
programma e in particolare:
con il capitolo 2 (Europa), dove si riconoscono i diritti dei popoli
e dei territori; con il capitolo 8 (beni culturali), dove si richiede
la partecipazione dei territori alla custodia dei beni comuni; con il
capitolo 13 (ambiente), dove si rifiutano le grandi opere imposte
dall’alto; con il capitolo 14 (nuova questione meridionale), dove
si propone una lotta per il riscatto dei territori, in particolare di
quelli, come il Sud, la Sicilia e la Sardegna, dove più drammatiche
sono le conseguenze di quello che non esitiamo a definire un vero e proprio neocolonialismo.
Invece
che pensare a tornare
indietro, ritieniamo che si debba
andare ben oltre i limiti del 2001,
dando maggiore autogoverno alle
regioni e ancora di più alle comunità locali, le quali
possono diventare il fulcro della vita
democratica, istituzioni dotate di sempre maggiori
poteri civici e di capacità di intervento sociale, fondate
su forme avanzate di autogestione e di
democrazia diretta.
Firenze, domenica 7 gennaio 2018
Mauro
Vaiani