sabato 26 agosto 1989

Libertà e comunità dei borghi

 
Nell'archivio personale di Mauro Vaiani, ai tempi di Veraforza, abbiamo ritrovato questa lettera. Eravamo abbastanza avanti, diremmo, considerato che stiamo parlando di prima del crollo del Muro di Berlino. Al momento non ricordiamo, né possiamo controllare, se il settimanale "La Voce di Prato" l'avesse a suo tempo pubblicata. La riproponiamo qui per condividerla con i tanti toscani che stanno per partecipare al grande cantiere dell'autogoverno nel XXI secolo (NdA, 8 novembre 2017).
 
26 agosto 1989
 
LIBERTA' E COMUNITA' NEI BORGHI

 
Cari amici de "La Voce di Prato",

chiedo ospitalità al settimanale diocesano per intervenire sulla libertà e l' autonomia dei borghi, delle frazioni e dei paesi del nostro Comune, a titolo personale ma a partire dalla mia esperienza di consigliere del Quartiere n.9 (Mezzana e Prato Est), eletto nelle liste della Democrazia Cristiana.
Prato ha riaperto il dibattito sulla propria suddivisione in quartieri. La Giunta ha diffuso un documento su questo tema in Giugno ed il 13 Luglio si è tenuto un Consiglio Comunale allargato ai rappresentanti dei quartieri, per discuterlo. Il decentramento delle città è, secondo la legge in vigore, competenza dei comuni, i quali hanno il potere di "suddividersi" in circoscrizioni, il cui ordinamento è rigidamente limitato e preordinato dalla legge stessa.
Il documento della Giunta, dopo una premessa in cui si sottolinea il ruolo dei quartieri come "terminali" ripetitori dei servizi di un comune più efficiente e si prende atto che la gente è sfiduciata sul ruolo dei quartieri, dice: "Il numero ottimale per Prato potrebbe essere di 5 o 6 quartieri. Un' ipotesi di lavoro è quella di definire un quartiere per il Centro Storico, e altri quattro o cinque per le grandi zone geografiche della nostra città". La riduzione viene vista in funzione del "potenziamento in uomini e mezzi" di questi "terminali" dei servizi comunali.
Io, anche se lavoro con e fra gli elaboratori e i computer nelle organizzazioni pubbliche e nei servizi sociali, non amo i "terminali", che in informatica sono - quasi per definizione - ripetitori "stupidi" di soluzioni trovate in alto, al vertice.
Preferisco l' autogoverno che parte dalle persone. La Giunta ha parlato sì della necessità di un profondo e partecipato dibattito, ma in tempo utile per le elezioni del 1990. In pratica si abolirebbero in in sei mesi gli 11 quartieri della città, nati 15 anni fa, e formati dopo annose consultazioni in un' ottantina di assemblee popolari.
La riforma dei quartieri, se ogni comunità vicinale deve esprimere il proprio parere, non può essere fatta in poco tempo. Da qui al 1990, invece, si potrebbero ragionevolmente ATTUARE le parti ancora disattese dell' attuale legge. Diamo ai nostri quartieri deleghe concrete e poteri utili, come come quello di tagliare l' erba dei propri giardini. Togliamo ai consigli il compito estenuante di dare "pareri" pletorici su problemi di competenza comunque comunale, con l' unico risultato di stancare il lavoro volontario dei consiglieri e di allungare i tempi della burocrazia comunale.
Dopo il 1990, oppure in vista delle nuove e tanto attese leggi sulle autonomie locali, il dibattito potrà svilupparsi un po' più a fondo. Fino ad entrare nel senso più profondo dell' autonomia, che risiede nell' antico e nuovo spirito comunitario e libertario dei paesi, delle frazioni e dei borghi, importante in quanto elemento di continuità nel tempo di una cultura della convivenza a misura d' uomo e rispettosa dell' ambiente. Credo che non ci sia alcun futuro, infatti, per la città metropolitana come enorme centro di interessi economici e di potere, come eccesso di cementificazione, come distruzione di identità e comunità umane.
A Roma il PCI si è espresso favorevolmente alla costituzione di un nuovo "libero" comune di Ostia, perché una comunità più circoscritta potesse realizzare il proprio equilibrio tra qualità urbana e tutela della natura. Sotto il governo della giunta capitolina sono andati avanti, al contrario, solo progetti di cementificazione, di costruzione di nuovi "poli", di realizzazione di nuove striscie di cemento, il tutto perché milioni di persone si sentano sempre più in periferia e a milioni si spostino sempre di più verso centri sempre più artificiali, con le proprie macchine, per decine di kilometri, dilapidando il tempo della propria vita e consumando le energie della terra. Certo Roma è immensa, ma anche Prato, come comune e come ente che centralizza poteri e come arena di speculazioni potenzialmente distruttive per l' ambiente e per l' uomo, non scherza. E, cercando il bene della persona umana, non si possono avere pregiudizi contro le cose piccole, ma, al contrario, bisogna fare tesoro del senso dei limiti da APPORRE ad uno sviluppo insostenibile e divoratore di terra, acqua e aria.
Se si crede nella sussistenza della libertà e della comunità nel territorio urbanizzato, bisogna discutere della formazione di "liberi borghi", che insieme ai comuni di una stessa area vitale (come l' Area Pratese, il Mugello, la Versilia, l' Empolese), si associno in un nuovo ente intermedio all' interno della regione.
I quartieri del futuro potrebbero nascere dalla gente che vuole riconoscersi e stare insieme, dallo sviluppo dell' associazionismo e della vita comunitaria. Potrebbero nascere per essere delle assemblee che si raggiungono a piedi, in bicletta, in carrozzella. Piccole "polis" a misura dei vecchi, dei bambini, delle famiglie, degli handicappati e dei normodotati. A misura della persona umana, non dell' uomo-autista medio.
Potrebbero essere riconoscibili, come lo erano le antiche Pievi di S.Ippolito, S.Giusto, S.Giorgio, raccogliendosi attorno a piazze pedonali. Potrebbero avere dal restauro o dalla trasformazione di edifici pubblici esistenti dei piccoli municipi. Potrebbero provvedere alle scuole primarie, all' assistenza domiciliare, alla medicina preventiva, al verde pubblico, al mantenimento dei cimiteri e alla raccolta dei rifuti urbani riciclabili.
Il quartiere, come borgo, frazione o gruppo di parrocchie, potrebbe essere abbastanza piccolo per permettere alla gente di eleggere dei consiglieri che sono uomini e donne del vicinato. Potrebbero avere dei sistemi elettorali privi di liste di partito. Potrebbero eleggere direttamente il proprio "borgomastro". Potrebbero avere un nome e uno stradario. Potrebbero avere bilanci autonomi su cui rendere conto direttamente alla gente. L' Area Pratese, dalla Val di Bisenzio al Montalbano, non diventerebbe anarchica, ma potrebbe essere rappresentata da nuovi organi provinciali in cui antichi comuni e nuovi borghi non sarebbero sproporzionati come lo sono attualmente Prato e Poggio a Caiano.
Comunque sia, questo quartiere non va disegnato sulla carta o sulla media della popolazione residente. 3.000 abitanti non sono pochi per permettere ad una frazione di essere un "centro" e non la periferia di qualcun altro. 30.000 abitanti non sono troppi, se è la gente a chiederlo attraverso assemblee, durante le feste popolari e dei partiti, o con i risultati di referendum consultivi.
 
Mauro Vaiani